Sabato 12 settembre 2015 ore 21.30

 

Tiratirache

Quello descritto dai Tiratirache è un paesaggio morale che ricopia fedelmente la geografia di un Nordest avvilito dalle troppe automobili, dai troppi capannoni, dalle troppe luci e dai troppi troppo. Un paesaggio surreale, dove risaltano non più le ville della riviera della Brenta, perché i fiumi in lingua veneta sono femmine, ma quelle in fila ininterrotta a murare le strade dei piccoli imprenditori, aggrappate al capannone come alla mamma.
Ville in genere brutte, progetti da geometri a buon mercato, abitate poi da nanetti, aquile alpine, Veneri in similmarmo ed improbabili marzocchi, i leoni araldici senza più le ali di San Marco e nemen le bale. Scelte di un’umanità vera e provinciale che sogna televisivamente di velinemutandine e suvastronavici e schei che poi andranno ad annegare a Sharm-el-Sheik.
Un’ironia dolente, amara più che indignata, e che comunque ha ancora in riserva una simpatia inevitabile per quei personaggi che pur tuttavia e nonostante là dentro ci devono vivere.
Ecco allora che prende forma una sorta di controcanto fatto di un’umanità tanto arcaica nella tipologia ed improbabile nelle aspirazioni quanto ancora e sempre contemporanea: l’alcolizzato del tappo corona, la signora di campagna che prende la corriera per andare in città, il prete che, dicono, se la faccia con la suora (se almeno!), quell’altro che non riesce ad imbastire due parole d’amore che siano due o il tipo che ancora ritiene che la grappa fatta in casa sia migliore di quella dei professionisti (per l’amor di Dio!).
Un Teatro nel quale tutti si può in qualche modo recitare per vedere, forse è ancora possibile, se riusciamo non si chiede a farci ridere, ma almeno a farci sorridere.
Cesare Poppi